venerdì 11 novembre 2011

INCONTRO CON I "LAVORATORI DELL'ARTE"

I Lavoratori dell'Arte saranno a Torino
per incontrare e discutere con gli artisti piemontesi

DOMENICA 20 NOVEMBRE, ORE 16,00
c/o GREEN BOX,  Via Sant'Anselmo, 25 - Torino


La bellezza non può attendere, diceva uno slogan di qualche mese fa. La bellezza delle persone che si stanno incontrando qua a Milano sta nel fatto che non si accontentano delle parole, che sanno di volere mettere in atto qualcosa di inedito. In modo determinato, aperto e inclusivo, umile come è umile la gente che non si fida della retorica, ma cerca veramente di capire, e per continuare a comprendere tenta i primi passi, agendo di conseguenza. Qualcosa che non riduce la politica al suo racconto, che non la riduce ad un commento su facebook o alla topica per l'ennesima conferenza, al titolo per l'ennesima rivista o all'ennesimo progetto autoriale. Tutto ciò non basta. La bellezza di queste lavoratrici e lavoratori della conoscenza, di questi cittadini prima di tutto, è la voglia di una politica agita, non raccontata.
Siamo irrequieti: non è vero che non abbiamo tempo, ma non vogliamo impegnarlo in qualcosa di inefficace. Siamo stufi di avere per le mani solo opinioni. O meglio, vogliamo che le nostre opinioni, ciò che pensiamo, escano allo scoperto e siano il campo di battaglia su cui giocare la costruzione del nostro futuro. Un'alternativa possibile non è cosa da contemplare, dobbiamo metterla alla prova: prendiamoci questa libertà, occupiamoci di ciò che è nostro per testare la realtà. Cominciamo a capire che rimanere dei curiosi, degli attenti produttori di lamenti, degli osservatori specializzati, o dei cinici calcolatori, esperti nell'arte garbata del salvarsi la pelle, è ciò che più serve al mantenimento dello status quo.
Divertiamoci, seriamente, nel testare delle alternative. Trasformiamo la realtà che ci circonda in un serio esperimento radicale.

Insistiamo su questo aspetto perché è finito il tempo di una certa logica negativa, che tanto ha segnato anche i linguaggi e le estetiche degli ultimi anni. Raccontare quanto siamo diversi, nel tentativo sincero di creare coscienza critica e cinico disprezzo verso i dispositivi di potere e sfruttamento, è forse una strategia che ha fatto il suo tempo e non è in grado di spiegare la sfida che ci aspetta. C'è un'immagine, scritta dallo stesso Adorno, proprio lui, maestro di dialettica negativa e costruzione di coscienza critica non ideologica, che forse può aiutare a superare questo impasse. In un breve scritto intitolato Elogio funebre di un organizzatore, ricorda la figura di Wolfang Steinecke, un tenace organizzatore che ha salvato nella pratica le sorti della musica moderna. Lontano dalla retorica e dal gioco delle poltrone importanti e dei riflettori, ha avuto la sensibilità per costruire una scuola, nessun altro avrebbe raccolto e mantenuto uniti uomini altrettanto ribelli, scontrosi e difficili, come coloro che fanno parte di questa scuola – se fossero stati meno difficili, avrebbero scelto una via più facile – nessun altro avrebbe fatto scomparire con impercettibile energia le blande autorità di cui in principio non si era potuto far a meno e preparato un'atmosfera in cui, pur nei contrasti più accesi, prevalse la tendenza comune alla solidarietà.
In questo senso entrare in una dialettica che non accetta lo status quo non significa affinare strumenti critici per commentare la realtà seduti dietro le proprie cattedre garantite o in via di definizione, significa invece costruire spazi reali inediti dove impegnare le proprie soggettività in modelli di gestione alternativi, partecipati, in cui c'è spazio per tutti, per innovare realmente l'ingegneria sociale, la ricerca e la sperimentazione dei linguaggi.

Nell'assemblea dei Lavoratori dell'arte del 23 ottobre a Milano, sono emersi un po' di strumenti da tener presente per gli spazi che andremo a costruire.
Durante la presentazione della bozza di statuto della Fondazione Teatro Valle Bene Comune, Ugo Mattei richiama l'articolo 43 della Costituzione Italiana in questo passaggio:
A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.
Il concetto è che la cittadinanza e le categorie di lavoratori sono legittimati costituzionalmente a gestire direttamente un'attività rilevante di pubblica utilità.
Nella scorsa assemblea abbiamo parlato molto di questo aspetto: siamo in un momento dove possiamo rifiutare sia la logica burocratica sia quella privatistica. Possiamo fare a meno della logica burocratica dove la gestione di uno spazio pubblico è vincolata ad un controllo verticistico, nel criterio della delega, spesso di spartizione partitica delle nomine e di faticoso accesso ai servizi.
Possiamo fare a meno della logica privatistica, nel senso che ci opponiamo a subordinare i contenuti alla quantità di soldi che sono messi a disposizione dal privato, aspetto che condiziona gli spazi pubblici alle proposte che interessano agli investitori.

Il nuovo statuto del Teatro Valle Bene Comune ribalta completamente queste due logiche, indicandone una terza. La proprietà e la gestione degli spazi pubblici è nelle mani di chi partecipa attivamente a costruirne i contenuti. Tutti sono ammessi con pari diritti, tutti sono uguali e tutti hanno un voto nell'assemblea che decide la gestione dello spazio. Chi non partecipa rinuncia a preoccuparsi attivamente di quello spazio pubblico. Chi continua a partecipare da continuità alla gestione.

Nelle assemblee dei Lavoratori dell'arte stiamo confrontandoci proprio su questo, formulando delle iniziative nella città di Milano per innescare dei processi di gestione partecipata degli spazi di pubblica utilità nel settore dell'arte e della cultura. Sottrarre questi spazi alla mera logica dell'alleanza col privato per trasformarli in un centro di riflessione costruttiva e critica, in cui la cittadinanza si prende il tempo di ripensarne i contenuti e la loro gestione.
Cultura, giurisprudenza ed economie hanno senso solo all'interno di questa tensione. Intendiamo l'arte e la cultura proprio come luoghi in cui costruire concretamente e dal basso un nuovo immaginario sociale e collettivo.

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